lunedì 24 novembre 2014

Bassanini "Chi investe in Rocco Forte è FSI nella sua autonomia"

Ringrazio il prof. Bassanini, incontrato sabato 22/11/14 ad un convegno fiorentino, per avermi permesso di scambiare con lui due impressioni veloci sul tema dell'investimento fatto da FSI nel Gruppo Forte, oggetto del mio precedente post.



Il prof. Bassanini mi ha - gentilmente ma fermamente - contestato il titolo del mio precedente post: dice che non è vero che CDP investa in Rocco Forte, ma lo sta facendo FSI nella sua autonomia.
A me il prof. Bassanini sta simpatico, trovo che dica spesso cose molto argute, e non ho nessun motivo di non credergli: prendo quindi atto, chiedo scusa del mio fraintendimento, che riprendeva articoli di stampa non sempre completi, anche se devo dire che il legame tra CDP e FSI appare piuttosto forte a occhi poco addestrati come i miei.

Veniamo però alla parte più interessante, e di sostanza, del breve colloquio col prof. Bassanini.

Dice il prof. Bassanini che FSI si è guardato attorno ed in Italia non ha trovato un gruppo alberghiero degno di fare partnership con FSI, in grado di fare una strategia attrattiva del turismo mondiale nel nostro paese.
Probabilmente (ma non l'ha detto) si riferiva a quelle catene che sono andate in crisi perché sovra-indebitate a causa di eccesso di investimento immobiliare. Difficile dargli torto. Però....

Alessandro Rosso mi sembra un imprenditore italiano con capacità e strategia molto più chiare di Rocco Forte: allora perché coinvolgere Rocco Forte?
Elena David ha capacità da vendere, purtroppo si è occupata (bene) di un gruppo che dal punto di vista immobiliare ha fatto errori macroscopici e non ha tenuto conto della crisi incipiente.
La famiglia Fabri proprietaria degli Starhotel probabilmente è oggi il gruppo italiano immobiliarmente più solido nel settore alberghiero, che se deve approvvigionarsi di finanza ha più successo guardando fuori dell'Italia che in Italia.

In Italia nel turismo abbiamo risorse straordinarie, conosco delle realtà medie che stanno faticosamente crescendo e che se avessero il supporto finanziario adeguato (che non trovano) potrebbero dare delle grandi soddisfazioni al nostro turismo.

Certo si deve avere la pazienza di investire nella crescita di aziende medio piccole proprie del nostro tessuto economico, piuttosto che cercare la partnership con una realtà apparentemente grande (sebbene con parecchi problemini).
Posso dire che il "turismo" in Italia è trattato sempre da cenerentola, e ce se ne accorge solo quando si ha l'acqua alla gola e vi si ricorre per provare a tirarci fuori dai guai, senza una visione?

In questo quadro davvero non capisco la scelta strategica di un gruppo inglese che di Italiano ha solo il nome, ed anche dal punto di vista della solidità fa nascere molti dubbi: un gruppo che rischia di fare concorrenza alla libera iniziativa privata italiana, anche grazie a probabili trucchetti fiscali di profit shifting, senza con questo dare supporto ad una strategia di promozione del nostro paese all'estero.

Ancora sulla strategia di CDP e FSI: io posso anche condividere l'esigenza di finanziare gli enti pubblici disastrati utilizzando CDP, ma è cosa completamente diversa da quella di una chiara e sensata strategia in materia turistica, che per ora non ci è dato di conoscere.

Dubito che alcune scelte di immobili selezionati per l'operazione CDP-FSI-RF di cui si vocifera (e che non sono pubbliche) siano quelle giuste per ottenere gli obiettivi che sembrano sottostare.
Insomma: ancora una volta di turismo ce se ne occupa per risolvere problemi dell'industria immobiliare, replicando i problemi che abbiamo visto nascere negli ultimi 15 anni.

Ripeto la domanda: ma  Federalberghi e Assohotel o Confindustria Alberghi non hanno nulla da dire su questo?


















domenica 9 novembre 2014

Perché Cassa Depositi e Prestiti investe in Rocco Forte?

Intanto diamo la notizia che è del 7/11(Il Sole 24 Ore Radiocor)

""Il Fondo Strategico Italiano e il Gruppo Rocco Forte Hotels hanno sottoscritto un accordo di investimento che prevede l'ingresso del Fondo nel capitale del gruppo alberghiero, per un piano di sviluppo incentrato sull'Italia. 
Lo comunica la Cassa Depositi e Prestiti, precisando che l'accordo, che rappresenta la prima iniziativa di Fsi nel settore turistico, prevede l'ingresso di Fsi e Fsi Investimenti (societa' detenuta per circa 77% da Fsi e per circa 23% da Kuwait Investment Authority) nel 23% della societa' alberghiera, con sede a Londra, per un importo di 60 milioni di sterline, pari a circa 76 milioni di euro. L'operazione e' interamente effettuata in aumento di capitale.""

La notizia circolava da luglio scorso, vedasi l'articolo di Stefano Sansonetti su  Notiziagiornale.it, ma la conferma mi è arrivata via Twitter da @giusva82, che ringrazio.

La domanda è, perché mai CDP investe nel Gruppo Forte?

Intanto va ricordato che Il Gruppo Rocco Forte ha sempre avuto rapporti piuttosto diretti con l'ente pubblico.
Come ricorda Sansonetti, qui si tratta dello Stato che interviene direttamente o indirettamente anche attraverso Fondo Strategico Italiano in un'attività immobiliare di un gruppo privato quotato a Londra acquisendo il 23% del capitale sociale.

Anche l'operazione Perla Ionica di cui abbiamo parlato in Agosto 2014 (vedi la parte finale di questo post) aveva caratteristiche simili, una società controllata da un fondo estero (Qatarino), e l'immissione di finanziamenti pubblici (solo per la ristrutturazione dell'hotel).

Siamo d'accordo con chi pensa che il sistema alberghiero italiano sia oggi squalificato dalla caduta rovinosa di albergatori (per amor di patria evito di nominarli) che negli anni 2000 hanno fatto confusione tra attività immobiliare e attività alberghiera, cercando di costruire imperi immobiliari a leva.
Siamo convinti che per ripartire si deve immettere denaro fresco, destinato al ammodernamento delle strutture e la riorganizzazione manageriale dei gruppi.

Quello che non è chiaro però, che cosa c'entri in tutto questo lo Stato e un gruppo privato, che se va bene riuscirà a metter mano a 3 o 4 hotel.
Le società straniere hanno capito molto bene come trovare i soldi per fare le loro operazioni in Italia, utilizzando denari pubblici, che gli attori italiani indeboliti dalla crisi o indifferenti all'investimento nazionale, non vogliono o possono più utilizzare.

Per trovare la soluzione (una soluzione "di larga scala" si deve rispondere alla domanda del perché nessuno investe in Italia (a meno che non utilizzi i soldi pubblici per l'acquisto o la ristrutturazione). 

Non si risolve la questione del "TURISMO" italiano con 4 operazioni, nemmeno con 10, ma ripensando i modelli di business, cambiando le leggi che bloccano la riorganizzazione delle società di gestione, cambiando le norme in materia urbanistica (turistico-alberghiera),  modificando la tassazione, introducendo strumenti moderni per la raccolta dei capitali di rischio, come i fondi comuni immobiliari alberghieri (che in Italia non ci sono mentre all'estero sì).

Non bastano 70 milioni, e nemmeno 100, ma servono dei miliardi al turismo italiano per tornare prepotentemente sul mercato. E questi capitali si possono attrarre cambiando le regole che bloccano gli investimenti.

Il giornale La Repubblica ipotizza che dietro a questa operazione ci sia l'intendimento del Demanio di vendere al Gruppo Forte ""alcuni degli immobili di pregio rilevati dal Demanio, una volta riqualificati potranno essere offerti per la gestione a catene alberghiere. I primi immobili sono già stati individuati a Venezia, Bergamo e nelle province di Verona e Torino, per un valore di 90 milioni di euro"".

In sostanza si tratterebbe di una valorizzazione di immobili pubblici fatta con denaro pubblico che transita per una società quotata estera, anche se ha un nome italiano ma un brand molto british.

Se questo serve a mostrare che si vendono immobili pubblici, mentre in realtà 76 milioni li investe CDP e 90 li incassa il demanio (con Rocco Forte che investe una minima parte dell'equity, e poi chissà cosa otterrà in termini di finanziamento della trasformazione), beh a me interessa poco: è un'operazione di abbellimento dei bilanci che posso perfino condividere.

Tra l'altro il FT scrive:
""The cash injection (nel Gruppo Forte) will in part go towards paying down debt. Rocco Forte Hotels has £105m of net debt and the group’s Sicilian resort has £85m of net debt.

The group was hit by the credit crunch and suffered a 40 per cent drop in turnover. Sir Rocco sold Le Richemont in Geneva and the Lowry in Manchester to help pay off debt.""


Ma se si pensa che questo possa essere il modello per lo sviluppo turistico del Paese, allora dico chiaro quello che penso: NO.
Ma tanto la prova al contrario non è possibile.
Ben che vada fra 10 anni si scoprirà che si sono trasformati alcuni immobili demaniali in hotel (speriamo) funzionanti, con qualche addetto in più e un po' di PIL aggiuntivo, se non sarà PIL sostitutivo rispetto a quello prodotto adesso da hotel obsoleti che nel frattempo si dovranno chiudere.

La strada per lo sviluppo "fisico" del turismo italiano, che pure serve, va affrontata in modo diverso, partendo dalla separazione di proprietà immobiliare e società di gestione, dalla introduzione di contratti di management, dalla revisione della fiscalità del settore, altrimenti avremo aziende che fanno concorrenza con i soldi dello Stato ad altre completamente in mano ai privati.

Si deve fare un'operazione di largo respiro, che coinvolga migliaia di hotel, e che lanci per davvero il turismo.
Di nuovo non capisco perché Federalberghi continui a tacere su questo.











sabato 8 novembre 2014

Chi attacca il Made in Italy? In risposta a Andrea Arrigo Panato

Devo ringraziare Andrea che mi ha solleticato su un tema del quale mi occupo con passione, quello del Made in Italy, fortemente legato a quello dell'ospitalità, di cui mi occupo professionalmente: due temi interconnessi e vediamo presto perché.
Come sanno i 6000 ospiti (albergatori e architetti) che abbiamo avuto nel corso degli anni ai convegni su Hotel Design, quello dell' Italianità è il filo conduttore dei tre libri da me curati e di una settantina di convegni tenuti in tutte le regioni italiane nel corso di circa 10 anni.

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La questione del Made In è diventata centrale, oggi i mercati sono sempre più regolati, il consumatore sa tutto delle aziende, dei brand e dei prodotti, ed anche il casus belli che ha dato origine al post di @commercialista (quello Gabanelli Moncler, tanto per intenderci) riguarda aspetti di trasparenza dell'attività produttiva e di Paese d'Origine (Made In) del piumino Moncler.

Il luogo di origine di un prodotto o servizio permette al consumatore di fare una valutazione della qualità del prodotto/servizio stesso. Per il consumatore, sapere dove viene materialmente fatto un certo prodotto, si riflette sulla sua valutazione di tre fattori fondamentali per la decisione d'acquisto:
a - salute e sicurezza
b- qualità generale
c - standard ecologici
Il "Made In" dice molte cose sugli aspetti produttivi come tecnologie utilizzate, aspetti legali, etica del lavoro e più in generale, sicurezza e salute, ecc.
Inoltre ci dice quali ingredienti vengono utilizzati per la produzione, la loro autenticità, la loro relazione con la tradizione e l'esperienza del produttore, in quanto il prodotto acquistato nasce immerso in un processo che comprende un intero territorio.

Oggi i consumatori sono molto attenti alla dimensione etica che sta dietro ai metodi produttivi di quello che acquistano, e - proprio per questo - alla zona di origine del prodotto. Infatti i consumatori desiderano che i beni vengano prodotti correttamente, perciò "dove" viene fatto un prodotto, e se viene commercializzato in modo equo, sono questioni sempre più importanti.

Vediamo alcuni punti fermi, oramai assodati:

1. Il luogo di origine (Made In) è uno degli elementi che il consumatore prende in considerazione per la scelta di acquisto, a volte facendo perfino distinzione tra luogo di "design" (progettazione, ideazione) e luogo di effettiva produzione.

2. Il concetto di Paese d' Origine si sta definendo sempre meglio. Nel tempo infatti si è assistito ad una progressiva identificazione tra brand e alcuni Paesi: Italia-Design, Francia-Moda, USA-Entertainment,...
Questo non è più sufficiente, perché i singoli brand devono dimostrare di avere una vera connessione col territorio, col Paese di Origine.
Non è più sufficiente raccontare che sei un marchio della moda italiana, ma è centrale mostrare dove la collezione viene disegnata, dove viene prodotto il capo venduto.
L'autenticità fa la differenza. Il consumatore, soprattutto quello del lusso, pretendono una relazione autentica tra Brand, design, produzione e storia.

3. Il consumatore ha ben chiaro i paesi di origine dei prodotti "migliori": USA, Francia e Italia sono in testa ai desideri del consumatore. L'Italia, come si sa, per la moda e il cibo, mentre non ha una forte reputazione per la tecnologia. Interessante notare come il consumatore dei paesi più ricchi e sviluppati, dia meno peso a questo aspetto, che invece è tanto più importante quanto vengono presi in considerazione mercati meno sviluppati e più periferici.

4. Per fortuna nostra (di italiani) il consumatore assegna reputazioni diverse ai paesi quando li si considera in modo "generico" ovvero quando li si valuti come "Paese d'Origine".
Vediamo perché, facciamo un esempio: il paese che ha la reputazione migliore al mondo è la Svizzera, che viene considerata un ottimo posto dove vivere, per il suo sistema di valori, un buon posto per fare affari, fare turismo, per le attività culturali, ecc.
Nonostante questo la Svizzera non ha una forte reputazione come Paese d'Origine, se non per alcuni prodotti molto di nicchia, infatti in Svizzera non ci sono abbastanza brand eccellenti tali da determinare un primato della nazione alpina.
All'estremo opposto si trovano alcuni paesi orientali, che stanno in fondo alla classifica della reputazione generale, ma sono invece considerati in tutto il mondo degli ottimi Paesi di Origine (Made In) per la qualità dei loro prodotti, soprattutto elettronici (tra questi posso citare la Corea del Sud, ma anche la Cina).
Questo è talmente vero che perfino la Apple dice dei suoi prodotti "Disegnato in California e assemblato in Cina".

5. Sempre per nostra fortuna (di italiani) esiste una relazione positiva tra il numero di brand affermati e di successo in un determinato settore merceologico, e la reputazione del Paese d'Origine (Made In).
L'America ha tanti brand di successo mondiale e ha una alta reputazione come paese Made In, la Germania ha una forte reputazione per l'Automotive, e l'Italia è leader per Food (con la Francia) e Fashion (con la Francia).

Andrea Panato nel suo post solleva una questione centrale.
Ma dichiarare il "Made in Italy" è ancora così importante, oppure a certi livelli è più importante il singolo brand?

La mia opinione è che dichiarare il Made in Italy sia ancora un grosso vantaggio per i brand che vanno alla conquista dei mercati internazionali, visto che non tutti noi ci chiamiamo Prada o Ferrari.
Vanno però osservate alcune regole che a volte vediamo sottovalutate:

a - Autenticità.
Ne avevo già parlato affrontando il tema del turismo di lusso.
Il prodotto o il servizio (e qui io penso al servizio alberghiero, al progetto di un hotel, la sua gestione, la sua coerenza, il suo personale,....) devono essere autenticamente "Made In Italy".
Da questo punto di vista l'Armani di Dubai non è un hotel italiano, ma è autenticamente Armani.
Prodotto e servizio devono rispettare uno standard unico, riconoscibile ma soprattutto profondamente coerente e raffrontabile con la storia del Paese d'Origine.

b - Differenziazione
Il marchio "Made in Italy"  deve permettere di distinguere brand e prodotto da tutte le imitazioni, per approccio, storia, cultura.
Abbiamo discusso per quasi dieci anni con i migliori architetti italiani su quale fosse un vero Hotel Italiano, e la risposta ultima è che l'hotel italiano è quello fatto da un progettista italiano: ce l'hai nel sangue, nella storia di scuole di architettura eccellenti, una tradizione di ospitalità millenaria.

c - Standard di qualità
Significa sicurezza, artigianalità, eccellenza produttiva, trasparenza, verificabilità.
Se dichiaro di essere "Made in Italy" devo essere pronto a raccontare in modo trasparente la storia produttiva, devo essere verificabile dal mio consumatore.

d - Expertise
Farsi identificare come il migliore in una determinata categoria, meglio ancora se hai contribuito a definirla.
Ristoranti italiani in giro per il mondo ce ne sono molti, tanti quanti sono i cuochi italiani che hanno cercato fortuna all'estero. Ma un vero ristorante italiano deve mostrare l'eccellenza, il legame alla tradizione, l'utilizzo di ingredienti originali, ecc.

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Ma allora il pericolo che Andrea paventa nel suo post, c'è oppure è un pericolo sopravvalutato?
Credo che ci sia.

1. Un numero crescente di aziende sono costrette a portare la produzione del "Made In Italy" fuori dal confine nazionale, questo può avere degli effetti negativi laddove l'autenticità viene messa in dubbio dal consumatore.

2. Questo fenomeno depaupera il nostro paese di capacità produttiva qualificata (identificabile nell'artigianalità della nostra manodopera)

3. C'è la tendenza a rincorrere le mode d'oltreoceano, sollecitando l'investimento in start up innovative (dove l'innovazione viene misurata nel numero di chips e cablaggi utilizzati), mentre si dovrebbe favorire start up che siano innovative nel prodotto e nel processo produttivo ma in settori (food, fashion, design, arredamento, ecc.) dove siamo bravissimi: una bravura che ancora ci viene riconosciuta in tutto il mondo, e portando i capitali ad investire in attività più tradizionali, possibilmente apportando quella capacità manageriale che in generale nelle aziende italiane manca.

Dobbiamo ricordare con chiarezza che la globalizzazione ha fatto sì che anche una piccola nicchia abbia come potenziali clienti milioni di consumatori in tutto il mondo.