lunedì 29 dicembre 2014

PREVISIONE 2015 - Turismo in decisa crescita - Attenti alle donne ricche

Come sarà il turismo nel 2015?

L'anno che viene sarà ricordato per la costante caduta del prezzo delle materie prime, in particolare il petrolio, derivante dalla caduta della domanda (Europa, USA, e Cina), e dalla crescita delle fonti alternative di energia (energia sostenibile, e fracking).

Il maggior vantaggio lo trarranno le classi medie di paesi come UK e USA dove il calo del prezzo del petrolio si rifletterà decisamente sul risparmio personale, dando la possibilità di spendere in viaggi e turismo.

Invece si ridurranno i flussi turistici originati da paesi con una caduta delle esportazioni di petrolio e gas, in particolare quelli dalla Russia, anche a causa delle tensioni politiche con l' Unione Europea e l' America.

I flussi turistici dalla Cina, India, Usa, Nord Europa saranno favoriti da

a) riduzione dei costi aerei grazie al calo dei costi del carburante, molto più importante per il medio/lungo raggio (Cina, India, USA, Brasile)

b) riduzione già evidente (soprattutto in USA) del costo del carburante per auto

c) riduzione delle spese di gestione degli hotel (riscaldamento e raffrescamento), con riflessi positivi sui margini e conseguentemente sui prezzi di vendita

d) riduzione dell'approvvigionamento di prodotti alimentari che viaggiano per camion, nave, o aereo e refrigerati, con conseguente riduzione dei costi per ristoranti e alberghi.

e) riduzione dei costi di produzione dei beni alimentari ad alto consumo energetico


Nel frattempo, sebbene la frenata alla crescita si faccia sentire in molte zone del mondo, il numero di quanti possono permettersi una vacanza a medio-lungo raggio cresce di anno in anno.

La figura qui sopra dice chiaramente che:

- lo 0,7 % della popolazione mondiale (pari a 35 milioni di persone) guadagnerà più di un milione di USD, e il 7,9% 373 milioni di individui guadagnerà tra 100mila e 1 milione di USD.
- facile prevedere una crescita del mercato del lusso, anche del turismo di lusso.
- in particolare si noti la forte crescita del mercato delle donne baby-boomers super-ricche (soprattutto americane) che oltre ad essere una componente importante degli individui ricchi del pianeta, nei prossimi anni erediteranno consistenti patrimoni da genitori o da mariti giunti al termine della propria vita. Si tratta di un target di mercato da tenere assai ben presente.

domenica 28 dicembre 2014

Turismo: tre mosse del governo.

L'articolo del Corriere me l'ha segnalato un'amica tuittera (eccolo qui ) che leggendolo ha pensato a me e ringrazio.

Le tre mosse sarebbero:
1. Accorpare ENIT, ICE e INVITALIA
2. Vendere un po' di immobili pubblici per farci alberghi
3. Cercare i direttori dei musei con l' Economist.

Articolo deboluccio, da Feste Natalizie ( la carta costa).

Sul secondo punto mi sono soffermato a lungo in questo blog.
Ribadisco che si tratta di una sciocchezza se gli immobili che lo Stato vende (e chi compra? Cassa depositi e prestiti?) sono di dimensioni sbagliate, molto costosi da ristrutturare ma soprattutto collocati in posti non adatti.

Invece non vedo mai dare rilievo a due proposte che invece sarebbero utili per il turismo.
Sempre quelle da anni.
E' dal convegno del novembre 2011  "Urban Design & Hotel Industry" che le pubblicizzo con costanza.


giovedì 11 dicembre 2014

E poi qualcuno si lamenta di Trip Advisor



Quando me l'hanno detto non ci credevo, così mi sono fatto mandare una fotografia, a documentare la fervida fantasia dei nostri albergatori.

La richiesta riguardava un gruppo di 25-30 persone alla settimana in mezza pensione, per 52 settimane, in sistemazione "twin", per turisti cinesi.

Il prezzo era dignitoso, nulla a che vedere con certi prezzi che si sentono raccontare in giro.

Il problema erano i lettini twin, così l'albergatore ha proposto una soluzione.... ovviamente il contratto non si è concluso.

lunedì 24 novembre 2014

Bassanini "Chi investe in Rocco Forte è FSI nella sua autonomia"

Ringrazio il prof. Bassanini, incontrato sabato 22/11/14 ad un convegno fiorentino, per avermi permesso di scambiare con lui due impressioni veloci sul tema dell'investimento fatto da FSI nel Gruppo Forte, oggetto del mio precedente post.



Il prof. Bassanini mi ha - gentilmente ma fermamente - contestato il titolo del mio precedente post: dice che non è vero che CDP investa in Rocco Forte, ma lo sta facendo FSI nella sua autonomia.
A me il prof. Bassanini sta simpatico, trovo che dica spesso cose molto argute, e non ho nessun motivo di non credergli: prendo quindi atto, chiedo scusa del mio fraintendimento, che riprendeva articoli di stampa non sempre completi, anche se devo dire che il legame tra CDP e FSI appare piuttosto forte a occhi poco addestrati come i miei.

Veniamo però alla parte più interessante, e di sostanza, del breve colloquio col prof. Bassanini.

Dice il prof. Bassanini che FSI si è guardato attorno ed in Italia non ha trovato un gruppo alberghiero degno di fare partnership con FSI, in grado di fare una strategia attrattiva del turismo mondiale nel nostro paese.
Probabilmente (ma non l'ha detto) si riferiva a quelle catene che sono andate in crisi perché sovra-indebitate a causa di eccesso di investimento immobiliare. Difficile dargli torto. Però....

Alessandro Rosso mi sembra un imprenditore italiano con capacità e strategia molto più chiare di Rocco Forte: allora perché coinvolgere Rocco Forte?
Elena David ha capacità da vendere, purtroppo si è occupata (bene) di un gruppo che dal punto di vista immobiliare ha fatto errori macroscopici e non ha tenuto conto della crisi incipiente.
La famiglia Fabri proprietaria degli Starhotel probabilmente è oggi il gruppo italiano immobiliarmente più solido nel settore alberghiero, che se deve approvvigionarsi di finanza ha più successo guardando fuori dell'Italia che in Italia.

In Italia nel turismo abbiamo risorse straordinarie, conosco delle realtà medie che stanno faticosamente crescendo e che se avessero il supporto finanziario adeguato (che non trovano) potrebbero dare delle grandi soddisfazioni al nostro turismo.

Certo si deve avere la pazienza di investire nella crescita di aziende medio piccole proprie del nostro tessuto economico, piuttosto che cercare la partnership con una realtà apparentemente grande (sebbene con parecchi problemini).
Posso dire che il "turismo" in Italia è trattato sempre da cenerentola, e ce se ne accorge solo quando si ha l'acqua alla gola e vi si ricorre per provare a tirarci fuori dai guai, senza una visione?

In questo quadro davvero non capisco la scelta strategica di un gruppo inglese che di Italiano ha solo il nome, ed anche dal punto di vista della solidità fa nascere molti dubbi: un gruppo che rischia di fare concorrenza alla libera iniziativa privata italiana, anche grazie a probabili trucchetti fiscali di profit shifting, senza con questo dare supporto ad una strategia di promozione del nostro paese all'estero.

Ancora sulla strategia di CDP e FSI: io posso anche condividere l'esigenza di finanziare gli enti pubblici disastrati utilizzando CDP, ma è cosa completamente diversa da quella di una chiara e sensata strategia in materia turistica, che per ora non ci è dato di conoscere.

Dubito che alcune scelte di immobili selezionati per l'operazione CDP-FSI-RF di cui si vocifera (e che non sono pubbliche) siano quelle giuste per ottenere gli obiettivi che sembrano sottostare.
Insomma: ancora una volta di turismo ce se ne occupa per risolvere problemi dell'industria immobiliare, replicando i problemi che abbiamo visto nascere negli ultimi 15 anni.

Ripeto la domanda: ma  Federalberghi e Assohotel o Confindustria Alberghi non hanno nulla da dire su questo?


















domenica 9 novembre 2014

Perché Cassa Depositi e Prestiti investe in Rocco Forte?

Intanto diamo la notizia che è del 7/11(Il Sole 24 Ore Radiocor)

""Il Fondo Strategico Italiano e il Gruppo Rocco Forte Hotels hanno sottoscritto un accordo di investimento che prevede l'ingresso del Fondo nel capitale del gruppo alberghiero, per un piano di sviluppo incentrato sull'Italia. 
Lo comunica la Cassa Depositi e Prestiti, precisando che l'accordo, che rappresenta la prima iniziativa di Fsi nel settore turistico, prevede l'ingresso di Fsi e Fsi Investimenti (societa' detenuta per circa 77% da Fsi e per circa 23% da Kuwait Investment Authority) nel 23% della societa' alberghiera, con sede a Londra, per un importo di 60 milioni di sterline, pari a circa 76 milioni di euro. L'operazione e' interamente effettuata in aumento di capitale.""

La notizia circolava da luglio scorso, vedasi l'articolo di Stefano Sansonetti su  Notiziagiornale.it, ma la conferma mi è arrivata via Twitter da @giusva82, che ringrazio.

La domanda è, perché mai CDP investe nel Gruppo Forte?

Intanto va ricordato che Il Gruppo Rocco Forte ha sempre avuto rapporti piuttosto diretti con l'ente pubblico.
Come ricorda Sansonetti, qui si tratta dello Stato che interviene direttamente o indirettamente anche attraverso Fondo Strategico Italiano in un'attività immobiliare di un gruppo privato quotato a Londra acquisendo il 23% del capitale sociale.

Anche l'operazione Perla Ionica di cui abbiamo parlato in Agosto 2014 (vedi la parte finale di questo post) aveva caratteristiche simili, una società controllata da un fondo estero (Qatarino), e l'immissione di finanziamenti pubblici (solo per la ristrutturazione dell'hotel).

Siamo d'accordo con chi pensa che il sistema alberghiero italiano sia oggi squalificato dalla caduta rovinosa di albergatori (per amor di patria evito di nominarli) che negli anni 2000 hanno fatto confusione tra attività immobiliare e attività alberghiera, cercando di costruire imperi immobiliari a leva.
Siamo convinti che per ripartire si deve immettere denaro fresco, destinato al ammodernamento delle strutture e la riorganizzazione manageriale dei gruppi.

Quello che non è chiaro però, che cosa c'entri in tutto questo lo Stato e un gruppo privato, che se va bene riuscirà a metter mano a 3 o 4 hotel.
Le società straniere hanno capito molto bene come trovare i soldi per fare le loro operazioni in Italia, utilizzando denari pubblici, che gli attori italiani indeboliti dalla crisi o indifferenti all'investimento nazionale, non vogliono o possono più utilizzare.

Per trovare la soluzione (una soluzione "di larga scala" si deve rispondere alla domanda del perché nessuno investe in Italia (a meno che non utilizzi i soldi pubblici per l'acquisto o la ristrutturazione). 

Non si risolve la questione del "TURISMO" italiano con 4 operazioni, nemmeno con 10, ma ripensando i modelli di business, cambiando le leggi che bloccano la riorganizzazione delle società di gestione, cambiando le norme in materia urbanistica (turistico-alberghiera),  modificando la tassazione, introducendo strumenti moderni per la raccolta dei capitali di rischio, come i fondi comuni immobiliari alberghieri (che in Italia non ci sono mentre all'estero sì).

Non bastano 70 milioni, e nemmeno 100, ma servono dei miliardi al turismo italiano per tornare prepotentemente sul mercato. E questi capitali si possono attrarre cambiando le regole che bloccano gli investimenti.

Il giornale La Repubblica ipotizza che dietro a questa operazione ci sia l'intendimento del Demanio di vendere al Gruppo Forte ""alcuni degli immobili di pregio rilevati dal Demanio, una volta riqualificati potranno essere offerti per la gestione a catene alberghiere. I primi immobili sono già stati individuati a Venezia, Bergamo e nelle province di Verona e Torino, per un valore di 90 milioni di euro"".

In sostanza si tratterebbe di una valorizzazione di immobili pubblici fatta con denaro pubblico che transita per una società quotata estera, anche se ha un nome italiano ma un brand molto british.

Se questo serve a mostrare che si vendono immobili pubblici, mentre in realtà 76 milioni li investe CDP e 90 li incassa il demanio (con Rocco Forte che investe una minima parte dell'equity, e poi chissà cosa otterrà in termini di finanziamento della trasformazione), beh a me interessa poco: è un'operazione di abbellimento dei bilanci che posso perfino condividere.

Tra l'altro il FT scrive:
""The cash injection (nel Gruppo Forte) will in part go towards paying down debt. Rocco Forte Hotels has £105m of net debt and the group’s Sicilian resort has £85m of net debt.

The group was hit by the credit crunch and suffered a 40 per cent drop in turnover. Sir Rocco sold Le Richemont in Geneva and the Lowry in Manchester to help pay off debt.""


Ma se si pensa che questo possa essere il modello per lo sviluppo turistico del Paese, allora dico chiaro quello che penso: NO.
Ma tanto la prova al contrario non è possibile.
Ben che vada fra 10 anni si scoprirà che si sono trasformati alcuni immobili demaniali in hotel (speriamo) funzionanti, con qualche addetto in più e un po' di PIL aggiuntivo, se non sarà PIL sostitutivo rispetto a quello prodotto adesso da hotel obsoleti che nel frattempo si dovranno chiudere.

La strada per lo sviluppo "fisico" del turismo italiano, che pure serve, va affrontata in modo diverso, partendo dalla separazione di proprietà immobiliare e società di gestione, dalla introduzione di contratti di management, dalla revisione della fiscalità del settore, altrimenti avremo aziende che fanno concorrenza con i soldi dello Stato ad altre completamente in mano ai privati.

Si deve fare un'operazione di largo respiro, che coinvolga migliaia di hotel, e che lanci per davvero il turismo.
Di nuovo non capisco perché Federalberghi continui a tacere su questo.











sabato 8 novembre 2014

Chi attacca il Made in Italy? In risposta a Andrea Arrigo Panato

Devo ringraziare Andrea che mi ha solleticato su un tema del quale mi occupo con passione, quello del Made in Italy, fortemente legato a quello dell'ospitalità, di cui mi occupo professionalmente: due temi interconnessi e vediamo presto perché.
Come sanno i 6000 ospiti (albergatori e architetti) che abbiamo avuto nel corso degli anni ai convegni su Hotel Design, quello dell' Italianità è il filo conduttore dei tre libri da me curati e di una settantina di convegni tenuti in tutte le regioni italiane nel corso di circa 10 anni.

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La questione del Made In è diventata centrale, oggi i mercati sono sempre più regolati, il consumatore sa tutto delle aziende, dei brand e dei prodotti, ed anche il casus belli che ha dato origine al post di @commercialista (quello Gabanelli Moncler, tanto per intenderci) riguarda aspetti di trasparenza dell'attività produttiva e di Paese d'Origine (Made In) del piumino Moncler.

Il luogo di origine di un prodotto o servizio permette al consumatore di fare una valutazione della qualità del prodotto/servizio stesso. Per il consumatore, sapere dove viene materialmente fatto un certo prodotto, si riflette sulla sua valutazione di tre fattori fondamentali per la decisione d'acquisto:
a - salute e sicurezza
b- qualità generale
c - standard ecologici
Il "Made In" dice molte cose sugli aspetti produttivi come tecnologie utilizzate, aspetti legali, etica del lavoro e più in generale, sicurezza e salute, ecc.
Inoltre ci dice quali ingredienti vengono utilizzati per la produzione, la loro autenticità, la loro relazione con la tradizione e l'esperienza del produttore, in quanto il prodotto acquistato nasce immerso in un processo che comprende un intero territorio.

Oggi i consumatori sono molto attenti alla dimensione etica che sta dietro ai metodi produttivi di quello che acquistano, e - proprio per questo - alla zona di origine del prodotto. Infatti i consumatori desiderano che i beni vengano prodotti correttamente, perciò "dove" viene fatto un prodotto, e se viene commercializzato in modo equo, sono questioni sempre più importanti.

Vediamo alcuni punti fermi, oramai assodati:

1. Il luogo di origine (Made In) è uno degli elementi che il consumatore prende in considerazione per la scelta di acquisto, a volte facendo perfino distinzione tra luogo di "design" (progettazione, ideazione) e luogo di effettiva produzione.

2. Il concetto di Paese d' Origine si sta definendo sempre meglio. Nel tempo infatti si è assistito ad una progressiva identificazione tra brand e alcuni Paesi: Italia-Design, Francia-Moda, USA-Entertainment,...
Questo non è più sufficiente, perché i singoli brand devono dimostrare di avere una vera connessione col territorio, col Paese di Origine.
Non è più sufficiente raccontare che sei un marchio della moda italiana, ma è centrale mostrare dove la collezione viene disegnata, dove viene prodotto il capo venduto.
L'autenticità fa la differenza. Il consumatore, soprattutto quello del lusso, pretendono una relazione autentica tra Brand, design, produzione e storia.

3. Il consumatore ha ben chiaro i paesi di origine dei prodotti "migliori": USA, Francia e Italia sono in testa ai desideri del consumatore. L'Italia, come si sa, per la moda e il cibo, mentre non ha una forte reputazione per la tecnologia. Interessante notare come il consumatore dei paesi più ricchi e sviluppati, dia meno peso a questo aspetto, che invece è tanto più importante quanto vengono presi in considerazione mercati meno sviluppati e più periferici.

4. Per fortuna nostra (di italiani) il consumatore assegna reputazioni diverse ai paesi quando li si considera in modo "generico" ovvero quando li si valuti come "Paese d'Origine".
Vediamo perché, facciamo un esempio: il paese che ha la reputazione migliore al mondo è la Svizzera, che viene considerata un ottimo posto dove vivere, per il suo sistema di valori, un buon posto per fare affari, fare turismo, per le attività culturali, ecc.
Nonostante questo la Svizzera non ha una forte reputazione come Paese d'Origine, se non per alcuni prodotti molto di nicchia, infatti in Svizzera non ci sono abbastanza brand eccellenti tali da determinare un primato della nazione alpina.
All'estremo opposto si trovano alcuni paesi orientali, che stanno in fondo alla classifica della reputazione generale, ma sono invece considerati in tutto il mondo degli ottimi Paesi di Origine (Made In) per la qualità dei loro prodotti, soprattutto elettronici (tra questi posso citare la Corea del Sud, ma anche la Cina).
Questo è talmente vero che perfino la Apple dice dei suoi prodotti "Disegnato in California e assemblato in Cina".

5. Sempre per nostra fortuna (di italiani) esiste una relazione positiva tra il numero di brand affermati e di successo in un determinato settore merceologico, e la reputazione del Paese d'Origine (Made In).
L'America ha tanti brand di successo mondiale e ha una alta reputazione come paese Made In, la Germania ha una forte reputazione per l'Automotive, e l'Italia è leader per Food (con la Francia) e Fashion (con la Francia).

Andrea Panato nel suo post solleva una questione centrale.
Ma dichiarare il "Made in Italy" è ancora così importante, oppure a certi livelli è più importante il singolo brand?

La mia opinione è che dichiarare il Made in Italy sia ancora un grosso vantaggio per i brand che vanno alla conquista dei mercati internazionali, visto che non tutti noi ci chiamiamo Prada o Ferrari.
Vanno però osservate alcune regole che a volte vediamo sottovalutate:

a - Autenticità.
Ne avevo già parlato affrontando il tema del turismo di lusso.
Il prodotto o il servizio (e qui io penso al servizio alberghiero, al progetto di un hotel, la sua gestione, la sua coerenza, il suo personale,....) devono essere autenticamente "Made In Italy".
Da questo punto di vista l'Armani di Dubai non è un hotel italiano, ma è autenticamente Armani.
Prodotto e servizio devono rispettare uno standard unico, riconoscibile ma soprattutto profondamente coerente e raffrontabile con la storia del Paese d'Origine.

b - Differenziazione
Il marchio "Made in Italy"  deve permettere di distinguere brand e prodotto da tutte le imitazioni, per approccio, storia, cultura.
Abbiamo discusso per quasi dieci anni con i migliori architetti italiani su quale fosse un vero Hotel Italiano, e la risposta ultima è che l'hotel italiano è quello fatto da un progettista italiano: ce l'hai nel sangue, nella storia di scuole di architettura eccellenti, una tradizione di ospitalità millenaria.

c - Standard di qualità
Significa sicurezza, artigianalità, eccellenza produttiva, trasparenza, verificabilità.
Se dichiaro di essere "Made in Italy" devo essere pronto a raccontare in modo trasparente la storia produttiva, devo essere verificabile dal mio consumatore.

d - Expertise
Farsi identificare come il migliore in una determinata categoria, meglio ancora se hai contribuito a definirla.
Ristoranti italiani in giro per il mondo ce ne sono molti, tanti quanti sono i cuochi italiani che hanno cercato fortuna all'estero. Ma un vero ristorante italiano deve mostrare l'eccellenza, il legame alla tradizione, l'utilizzo di ingredienti originali, ecc.

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Ma allora il pericolo che Andrea paventa nel suo post, c'è oppure è un pericolo sopravvalutato?
Credo che ci sia.

1. Un numero crescente di aziende sono costrette a portare la produzione del "Made In Italy" fuori dal confine nazionale, questo può avere degli effetti negativi laddove l'autenticità viene messa in dubbio dal consumatore.

2. Questo fenomeno depaupera il nostro paese di capacità produttiva qualificata (identificabile nell'artigianalità della nostra manodopera)

3. C'è la tendenza a rincorrere le mode d'oltreoceano, sollecitando l'investimento in start up innovative (dove l'innovazione viene misurata nel numero di chips e cablaggi utilizzati), mentre si dovrebbe favorire start up che siano innovative nel prodotto e nel processo produttivo ma in settori (food, fashion, design, arredamento, ecc.) dove siamo bravissimi: una bravura che ancora ci viene riconosciuta in tutto il mondo, e portando i capitali ad investire in attività più tradizionali, possibilmente apportando quella capacità manageriale che in generale nelle aziende italiane manca.

Dobbiamo ricordare con chiarezza che la globalizzazione ha fatto sì che anche una piccola nicchia abbia come potenziali clienti milioni di consumatori in tutto il mondo.
























sabato 20 settembre 2014

Imprenditori Anonimi - Per capire quanto è dura fare quella vita

Riporto qui l'articolo di The Economist del 20 settembre 2014

IMPRENDITORI ANONIMI


SEVEN years ago Joe Jones (not his real name) left his job with a big NASDAQ-listed company to strike out on his own. He was sick of corporate life and he wanted to test his inner mettle. But being an entrepreneur proved far harder than he had imagined: a succession of potholes, speed bumps and dead-ends rather than a high road to prosperity. He found he had “lost his levers of control”: all the things his former employer had provided for him, from administrative support to a social network. He had to learn how to do all sorts of things he had not thought about before. The responsibility of meeting his payroll was “overwhelming”. The worry about every detail of his life—could he afford to keep his car, or pay the mortgage on his house?—was all-consuming. He took to drinking. Mr Jones eventually joined Alcoholics Anonymous and turned his business into a success. But many other would-be entrepreneurs have not been so lucky.
It is fashionable to romanticise entrepreneurs. Business professors celebrate the geniuses who break the rules and change the world. Politicians praise them as wealth creators. Glossy magazines drool over Richard Branson’s villa on Lake Como. But the reality can be as romantic as chewing glass: first-time founders have the job security of zero-hour contract workers, the money worries of chronic gamblers and the social life of hermits.


Phil Libin, the boss of Evernote, a document-storage service, says that “It is amazingly difficult work—you have no life balance, no family time, and you will never work harder in your life.” Aaron Levie, a founder of Box, a cloud-storage firm, says he spent two and a half years sleeping on a mattress in his office, living off spaghetti hoops and instant noodles. Vivek Wadhwa, an entrepreneur turned academic, had a heart attack when he had just turned 45, after taking one company public and reviving another.
Over half of American startups are gone within five years. Most of the survivors barely stumble along. Shikhar Ghosh of Harvard Business School (HBS) found that three-quarters of startups backed by venture capital—the crème de la crème—failed to return the capital invested in them, let alone generate a positive return. In 2000 Barton Hamilton of Washington University in St Louis compared the income distributions of American employees and entrepreneurs, and concluded that the latter earned 35% less over a ten-year period than those in paid jobs.
Even success can turn into a different sort of failure. The best way to avoid the loneliness of the long-distance entrepreneur is to found your company with a friend. But this frequently leads to quarrels about power, titles or money, as anyone familiar with the story of Facebook will know. The best way to cope with growth is to take on more investors and introduce more professional managers. But this usually leads to a loss of control: few founders are still CEOs when their companies go public.
Such a roller-coaster would impose an emotional strain on even the most balanced people. But it seems the average entrepreneur is far from balanced. John Gartner, who teaches psychiatry at Johns Hopkins University medical school, suggests that a disproportionate number of entrepreneurs may suffer from hypomania, a psychological state characterised by energy and self-confidence but also restlessness and risk-taking. Numerous studies confirm, at the least, that they are prone to over-optimism. Guy Kawasaki, a venture capitalist, says that when an entrepreneur promises to make $50m in four years he adds one year to the delivery time and divides the revenue by ten. Venture capitalists often use personality tests to distinguish between the merely over-optimistic and the completely delusional.
What can be done to deal with the dark side of entrepreneurialism? Mr Wadhwa urges company founders to have regular medical checkups, make time to exercise and learn to relax. “You may not believe in anything called a work-life balance, but your body certainly does.” Mr Jones suggests that people who start their own companies need to think hard about constructing social networks: the idea that they can succeed in splendid isolation is a dangerous illusion. They need friends to lean on, and mentors to guide them. The Entrepreneurs’ Organisation (EO), which has more than 10,000 members in 46 countries, organises meetings in which they can talk about their emotional as well as their business problems. The Kauffman Foundation, an American non-profit which studies and promotes entrepreneurship, provides online courses on “surviving the entrepreneurial life”.
Learning by being thumped
Company founders need to have a more realistic assessment of what it is like to fail. Management literature is full of guff about how entrepreneurs should embrace failure as a “learning experience”. But being punched in the face is also a learning experience. Dean Shepherd of the Kelley School of Business at Indiana University argues that the entrepreneurs who fail frequently go through a process that is similar to grieving after a death or divorce. Some bury themselves in the details of putting their lives back together. Others fixate on their loss. He argues that they must learn how to repair their lives and cope with their loss if they are to restore their fortunes and learn from their mistakes. Glib talk about “failing fast” hardly encourages this.
The paradox of the current, romantic view of entrepreneurs is that it leads us to undervalue their achievements. It is easy to envy people if you focus on a handful of success stories. It is easy to say, as Barack Obama did, that “If you’ve got a business—you didn’t build that. Somebody else made that happen”, while ignoring all the edifices that have fallen down and crushed those who devoted their lives to building them. Would-be entrepreneurs need to have a more measured view of the risks involved before they start a business. But society also needs to have more respect for people who put their lives on the line to build something from nothing.

venerdì 19 settembre 2014

TD LAB


Un paio di giorni fa ho partecipato ad una mezza giornata di studio sul tema della promo-commercializzazione on line del turismo italiano.

Sono andato per curiosità e per salutare qualche amico, visto che ero già a Roma per altre faccende.
Non ho fatto nessuna fatica ad iscrivermi, nè sono stato in alcun modo selezionato. Chi si lamenta di non aver saputo dell'iniziativa non usa adeguatamente (o non usa affatto) twitter. (E siccome a me le polemiche non piacciono, soprattutto da parte di chi si laurea e il giorno dopo è DG di una azienda pubblica... lasciamo stare).

A presiedere c'era Stefano Ceci, che in questo periodo sta ricevendo le critiche più feroci.
Coordinavano la giornata Sergio Cagol e Roberta Milano.
Era presente anche Andrea Babbi, oltre ad una bella schiera di esperti e giovani del digitale turistico, dal Trentino alla Puglia alla Sicilia.






Un primo semplice commento: ho visto gente che ha voglia di fare, che sente la responsabilità di quello che sta facendo, per alcuni aspetti magari è inesperta, ma molto meglio inesperta piuttosto che esperti come il gatto e la volpe.

Questi del TD LAB sono persone che ce la stanno mettendo sinceramente tutta.
E se a qualcuno verrà proposto un "posto" dopo aver dimostrato che sanno fare, dopo che se lo saranno meritato, bene, vorrà dire che l'Italia sta cambiando.

Molti dei contenuti proposti mi piacciono. La strada che stanno percorrendo è chiara, palese, esplicita.
Il desiderio di essere pratici e concreti è chiarissimo.

Vogliono portare la commercializzazione dentro ad un sistema di promozione che non sia una banale e inutilizzata vetrina di articoli giornalistici sulle bellezze italiane costata 20 milioni di Euro dai tempi di Berlusconi, Rutelli, Brambilla. VERGOGNA.

Il mio commento sul loro lavoro l'ho espresso pubblicamente quel giorno, e spero trovi spazio nella nuova versione del documento di lavoro.

Il cambio di ministro si sente. E la presenza di un manager con esperienza imprenditoriale anche.
In precedenza solo sotto la guida di Gnudi si era tentato qualcosa di simile, ma con meno forze, meno mezzi, meno spinta dal ministro. Sui ministri precedenti e successivo stendiamo un velo pietoso, la critica a Letta era ed è anche per quello che non si è fatto per un anno circa per il nostro turismo.

Quelli del TD LAB ce la faranno? Non so so. Speriamo. Oggi una sola parola. Auguri.

Ho la netta sensazione che per gli aspetti trattati dal TD LAB il "pubblico" oggi sia anni luce più avanti dei privati, che negli ultimi 20 anni di storia del turismo italiano, hanno mostrato tutto il loro fallimento in termini di innovazione, e di comprensione di come evolveva il mondo.

Ed è anche ora che certi Presidenti (apparentemente eletti a vita) lascino spazio a persone più giovani.








domenica 14 settembre 2014

Alison Deighton e Ian Taylor

(Disclaimer: considero Marco Cremaschi, Davide Cornago, e Angela Barbanente dei cari amici, sebbene un po' lontani dopo tanti anni che non ci si vede, e questo non mi tratterrà da dire chiaro cosa penso, sicuro che non perderò la loro stima)

Ho iniziato a commentare la vicenda di Alison Deighton fin dal giorno in cui se n'è parlato sui giornali.
E la prima ovvia reazione è che questa pubblicità fa un danno alla capacità dell'Italia di attrarre investimenti stranieri.
Una pessima risposta anche il ricorso alla magistratura penale... il messaggio agli investitori è più che chiaro, e operatori in crisi di liquidità, con trattative in corso con investitori internazionali non troveranno giovamento da queste vicende.
[tutti noi sappiamo che gli investimenti diretti in Italia sono caduti drasticamente,ed invece ne abbiamo un forte bisogno]

Di fatto il centro di tutto sta in quello che viene denunciato da imprenditori di ogni sorta: Rana che ha impiegato 9 mesi a fare uno stabilimento in USA e 9 anni a Verona. L'Esselunga che trova mille impacci... situazioni di incertezza confermati da architetti ed albergatori, e nel frattempo gli amici degli amici che riescono a intervenire e deturpare le bellezze d'Italia.

Io mi occupo di turismo (dell'hardware dell'ospitalità), faccio o analizzo business plan che spesso non stanno in piedi, perchè rendere economicamente sostenibile un investimento nel turismo è difficile, qualsiasi cosa ne pensino quelli che guardano alle operazioni dal di fuori.

Se fosse facile, infatti, non si spiegherebbe come mai gruppi come Una, Boscolo, THI, ATA sono in grande difficoltà.

Venendo alla vicenda pugliese, e non conoscendo della stessa che le notizie apparse sulla stampa, io vedo un problema. Uno solo. Quello dell'incertezza delle decisioni.

(Ricordo che la mia tesi di laurea si occupava della "Discrezionalità nell'attuazione della pianificazione urbanistica". Era il 1980. Aver affrontato quel tema mi ha portato molte critiche da parte dell'accademia, che ha rinunciato frettolosamente a me. (Affari miei, pazienza).
Peccato che oggi a 34 anni di distanza il tema della pianificazione, della decisione, della discrezionalità, delle procedure, dei cavilli, dei ricorsi, del TAR e del Consigio di Stato, siano ancora centrali. Anche in questa vicenda.

Se compro un terreno (quasi 10 anni fa) e quel terreno è edificabile, immagino siano previsti limiti e vincoli al suo uso.
Come "investitore" li analizzo e decido se accettarli o no.
Invece mi sembra di capire che devo acquistare, fare un piano il quale "forse" potrebbe essere approvato o no.Incertezza che condiziona moltissimo l'agire degli investitori, confermata esplicitamente dalla dichiarazione di Angela Babanente:

"Infatti l’area di Nardò risultava edificabile per il Piano regolatore generale, ma esso non era adeguato al Putt/P. Se chi ha venduto alla signora il terreno non le ha chiarito l’incertezza sullo stato giuridico del suolo, ha omesso di precisare una cosa fondamentale”

Questo modo di procedere non è accettabile in nessun posto del mondo civile. Questo rende l'Italia incivile.
Investire è un'attività di per sé incerta. Tutto quello che aumenta l'incertezza allontana l'investitore.

Lavorando tutti i giorni gomito a gomito con progettisti ed investitori nel settore turistico, ho la netta sensazione che la capacità di buone relazioni sia fondamentale per vedersi approvato un progetto oppure no.

Per questo io oggi sto dalla parte della sig.ra Deighton, per quello che ho capito, ovviamente, perché è inaccettabile che dopo 6,7, 8 anni non si sappia se posso o non posso costruire quello che ho in mente.

Mi fermo. Valutazioni di merito non ne faccio, non è compito mio, e non ho abbastanza elementi.
Compito mio a volte è suggerire ai miei clienti se investire in Italia o no... e lo faccio in coscienza, a volte a malincuore. E quando vedo che anche Ferrari sceglie la Spagna (Barcellona) per un mega intervento, allora mi dispero per il futuro di questo nostro paese.

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Su un secondo punto vorrei che voi tre cui ho dedicato il post, faceste una riflessione.

In Italia la dimensione media delle imprese è molto limitata, così come sono piccoli i lotti di terreno su cui intervenire, si fanno operazioni modeste, come sono modeste le dimensioni dei cosiddetti imprenditori.

Nel resto del mondo hanno molto chiaro cosa significa economia di scala. Sanno fare business plan che stanno in piedi. Noi no. Chi è intervenuto in passato, forse accecato da speranza di arricchimenti miracolosi, ha fatto errori e buchi nell'acqua.

Spesso sono le amministrazioni pubbliche che sostengono il mini e il micro, e non favoriscono interventi più importanti. Quella strada si è rivelata economicamente sbagliata, porta a strutture che non sono in grado di offrire servizio di qualità, prevedono autosfruttamento da parte dei proprietari, e alla fine il fallimento del progetto.

Nel turismo propongo di mettere una soglia minima di 80 camere per gli hotel, nelle "stagionali" anche 120, eliminando tutte quelle cosine piccole che deturpano il paesaggio e non danno alcun sostegno all'economia.... solo così il turismo da attività semi-amatoriale, basata su pensioncine e bed and breakfast diventerà una attività economica con spalle robuste.

Sennò ci troveremo in agosto ad affittare i garage di Gallipoli, ma nel periodo di bassa stagione la Spagna (Croazia, Grecia, Turchia, Albania, Montenegro, ecc. ecc.)  ci farà un ..... tanto.

(disponibile a parlarne a quattr'occhi, all'università, in regione , ovunque vorrete... con la consapevolezza che di turismo e urbanistica siamo 3/4 in Italia che ce ne occupiamo a tempo pieno, e francamente è un peccato)

P.S. = Solo per vostra informazione, oggi la mia attenzione è rivolta a Albania, e Bulgaria, oltre che Algeria e Tunisia per i mercati di cultura araba. In quelle zone interventi dai 100 milioni in su sono all'ordine del giorno, e devo dire che sono interventi di alta qualità, ben progettati, come le nostre coste non sono mai state.
Noi invece riusciremo a conservare borghi ed ulivi (cui anche il turista tiene moltissimo) ma moriremo per assenza di investimenti.









Piccolo è brutto.

(i fatti raccontati in questo post sono realmente avvenuti, per amor di patria tengo nascosti il Chi e il Dove, il mio ospite fraterno non se ne abbia a male, purtroppo sono cose che capitano quando...)

Un caro amico mi ha invitato ad una festa di compleanno, così dopo una giornata di viaggio, mi sono sobbarcato un altro po' di chilometri per raggiungere il luogo della festa, un B&B che Tripadvisor segnala come "eccellente" oltre 150 volte, buono 6, medio 3, nessun commento negativo.

Imposto il navigatore che però mi fa uscire al casello sbagliato, così dal casello alla destinazione ci metto più di mezz'ora. Il luogo è davvero sperduto, dal centro della città poco che ci voglia, servono 20 minuti, gli ultimi due chilometri sono di una stradina sterrata, con una pendenza impressionante, dove due auto si incrociano a malapena. E' buio e guardo se c'è segnale, ovviamente Vodafone non mi dà linea.

Arriviamo. In fondo ad una valletta in mezzo a dei filari tenuti molto bene, si presenta un ampio parcheggio, con prato all'inglese, ed una casa, non grande, ma subito si capisce l'amore e la cura con cui è stata ristrutturata.
L'accoglienza è "esclusiva" se non altro per i pezzi in argento, i quadri preziosi, l'arredo curato, il restauro sapiente.

Come avevo notato la casa è "piccola", ingressino e saletta non tengono in piedi più di 10-15 perone. Una struttura tipo gazebo, in plastica, chiusa, con dei "funghi" accesi che scaldano, la musica e quattro salti permettono di star bene all'aperto anche se fa frescolino.

Vengono aperte con una buona continuità delle ottime bottiglie di vino, non mi sono fatto negare svariate mescite di un ottimo prosecco, mentre viene servito del cibo non all'altezza del luogo e delle aspettative (e della classe del festeggiato).

Il padrone di casa è un medico in pensione che ha perseguito il progetto del B&B senza badare a spese.
La casa la gestisce con una moglie molto graziosa e due figli 25-30 enni.

Ci fa visitare le camere, che sono un incanto. Capisco perché gli sono costate un'occhio della testa.
Le camere sono 7 e quella sera dei primi di settembre in una città che probabilmente fa la massima occupazione dell'anno, ne ha solo una occupata.

Torno a guardare come viene promossa la struttura in Internet, ma non mi ricordo il nome. A ripensarci non ha né un buon nome, né un logo memorabili. Come spesso accade, l'architetto ha speso tutti i soldi, e non ne ha lasciati per il marketing.
Su booking viene classificata sotto un paesino alle porte della città, così che chi cerca un hotel in città non potrà mai trovare questa struttura.

Poi i prezzi sono decisamente importanti, da 150 € a 225 €, a quel prezzo in centro città si trovano delle ottime soluzioni. Il 5 stelle L più importante vende a 275 €, con un servizio perfetto offerto da una grande catena internazionale.

Quindi scuoto la testa.

Pro:
1. Restauro inimitabile
2. Arredi esclusivi
3. Ambiente famigliare
4. Silenzio e pace

Contro:
1. Difficile da raggiungere da autostrada, con stradina pericolosa, non oso pensare con pioggia o neve
2. Lontana dal centro città, non permette di vivere la città (passeggio, negozi, monumenti)
3. Nome e brand inesistenti
4. Poche camere (sette) per una redditività limitata
5. Cucina amatoriale, molto peggio di quella di mia mamma, che è bravina, ma ha anche 88 anni.
6. Prezzi inadeguati al prodotto, ma soprattutto al servizio.

Negli ultimi anni è accaduto sovente che professionisti o imprenditori abbiano fatto la scelta compiuta da questo medico in pensione, investendo tantissimi soldi, che non torneranno mai, rincorrendo i sogni di architetti che hanno incontrato la gallina dalle uova d'oro.

E' il solito ritornello che sta facendo fallire questo nostro paese.

Le società sono di numero dispari, ma tre si è troppi. Siiii, loro hanno fallito ma io so come fare. No un business plan non lo pago, non serve. Mi sono innamorato di un posto unico, incantevole. Facciamo noi, come a casa.... ma il cliente paga, non sei la mamma alla quale si perdona se il riso è scotto. Piccole strutture, questi erano i soldi che avevamo, anzi abbiamo speso molto più di quanto pensavamo (ovviamente). Il comune, la sovraintendenza, le autorità non ci hanno permesso.

In sintesi. Oggi il Times dice che "i ranger italiani che hanno ucciso l'orsa sono degli inetti".

Ci sono italiani capaci ed eccellenti, che poi sono degli inetti se fanno quello per cui non sono preparati.
Spesso il turismo viene lasciato agli amatori, invece per una grande industria turistica serve una grande visione, una grande professionalità, e una attività di successo scalabile.

Invece (e qui addosso tutta la colpa a certa politica) si rincorrono le mode e si favoriscono, anche per meri calcoli elettorali, progetti "piccoli" gestiti in modo amatoriale.
Sarebbe ora di smetterla. Mi aspetto che Governo e Regioni capiscano che il successo del turismo italiano non può basarsi su questa pletora di cosine piccole, che operano al confine della legalità, senza le medesime regole cui devono sottostare gli hotel.

Anche le banche hanno una bella responsabilità.
I soldi per finanziare un medico che riceve una lauta pensione dello stato li mettono a disposizione. Invece per fare investimenti a rischio per giovani intraprendenti no.
Anche lì si deve cambiare. Anche in questo Stato e Banca d'Italia hanno forti responsabilità. Per chi riesce a vederle.



















domenica 24 agosto 2014

Piccolo piccolo piccolo

Caro Franceschini,

a me la sua intervista su La Stampa è piaciuta. Le cose che sta facendo vanno bene, ma non sono sufficienti. Per il turismo serve più coraggio. Modificare norme e dare una visione di medio lungo periodo.

Nessuno in Italia vuole gli hotel tutti uguali di New York e di Singapore, o i mega hotel delle coste spagnole, anche se, dobbiamo riconoscere, i danni alle coste li hanno fatti prima gli italiani degli spagnoli. E quel prodotto di massa, per quanto brutto come quello qui in foto, da rifiutare, sta dando buoni risultati economici... quindi va studiato e valutato.


Quello che serve oggi è uno sforzo di pianificazione dello sviluppo turistico delle principali località con una visione a 10/20 anni.

Per far cambiare le località turistiche che danno o potrebbero dare ottimi risultati economici, si dovrebbe intervenire con una priorità per il SUD, la MONTAGNA e LE TERME.

Il Sud perché lì il turismo non va bene, ed invece potrebbe diventare una vera e propria industria.
La Montagna perché sta vivendo una rinascita che andrebbe favorita e sostenuta.
Le Città Termali (Abano, Salsomaggiore, Montecatini, Fiuggi,...)  perché hanno delle potenzialità straordinarie, uniche, anche se ad oggi non hanno ancora compreso quale strada seguire per ricollocarsi sul mercato.

a) con piani del territorio turistico, che permettano di coordinare gli interventi edilizi. L'esempio principe è stato Jesolo. Valutare i vantaggi e svantaggi di quel piano potrebbe essere un utile punto di partenza. Invece l'immobilismo o peggio l'anarchia di buona parte del territorio (soprattutto costiero) italiano non sono esempi da continuare a seguire.

b) con leggi in materia di "fondi comuni di investimento alberghiero" che favoriscano l'aggregazione e gli interventi coordinati di un unico soggetto, e contemporaneamente la raccolta della finanza necessaria per interventi così complessi

c) con facilitazioni fiscali per chi rinnova la città turistica riducendo i contributi a fondo perduto. Non solo e non tanto per chi semplicemente innova una struttura alberghiera, ma soprattutto per chi ha una visione di medio periodo che richiede ampi investimenti e darà ritorni incerti per lunghi anni

d) pensando in grande, con l'obiettivo di ridurre tutti i costi (fondiari, finanziari, gestionali, ecc.) diventando competitivi, anche con un prodotto di maggiore qualità, ma destinato ad un grande pubblico. Questo non vuol dire casermoni inguardabili tipo anni Sessanta, ma strutture architettonicamente qualificate, e che permettano economie di scala e gestionali. Ricordi che fra pochi anni l'aereo medio sarà di 400 posti.

Nella sua intervista lei cita l'hotel diffuso. Conosco l'argomento e comprendo la preoccupazione di vedere decadere piccoli borghi sparsi in zone magnifiche delle nostre colline e montagne.
Anche per me questo è un tema affascinante.
Richiamo però la sua attenzione sulla necessità che incentivi ed investimenti pubblici diano dei risultati in termini di PIL e occupazione (altrimenti che cosa li facciamo a fare?). Non ci possiamo più permettere di sostenere con denaro pubblico la gestione fallimentare dei privati. Invece fino ad oggi i soldi pubblici sono andati a ripianare iniziative semitruffaldine dei privati.

Per questo prima di investire dei denari o dare dei contributi, è opportuno che si siano valutati Studi di Fattibilità economica che reggano davvero alla prova del mercato.
Temo che in tema di albergo diffuso i risultati economici siano molto modesti. Così come sono modesti i risultati dello sviluppo dei B&B o degli agriturismi che prosperano solo perché fanno un'attività alberghiera senza doversi confrontare con le norme ed i vincoli propri degli hotel.
Invece a parità di attività, si dovrebbero applicare le medesime norme.

Allora invece di contributi, credo più opportuno azzerare per un periodo anche lungo le tasse per chi fa investimenti importanti (il limite dei 660.000 € previsti nel Decreto Cultura è evidentemente troppo basso)

Contemporaneamente, non sono d'accordo quando si danno 24 milioni di contributo pubblico ad una srl di proprietà araba, per fare un hotel di gestione americana, destinato ad una clientela prevalentemente estera.

L'esempio della Perla Ionica dice molto anche della qualità (modesta) degli imprenditori italiani, ma dice anche che per una sostenibilità economica di operazioni italiane si devono far intervenire entità estere, che se lo fa un italiano si chiama esterovestizione, se lo fa un forestiero genuino, allora è benvenuto e gli diamo anche 24 milioni di premio.

Fossi Federalberghi mi arrabbierei per la concorrenza sleale.




Mi permetta quindi di pensare male (farò peccato ma sicuramente ci prendo) e di dire che quest'operazione è stata possibile solo perché il compratore ha sede principale all'estero, e lascio agli amici commercialisti spiegarle le conseguenze di questo fatto.

Concludo dicendo che condivido il suo impegno per la cultura e per la promozione del turismo, credo anche che sia il momento di guardare al medio e lungo periodo del territorio turistico italiano, non preoccupandosi se fra 3 anni ci saranno le elezioni ed i risultati del suo intervento si vedranno fra 5 o 7.

E' un momento difficile, di crisi, e di cambiamenti. Serve coraggio.














venerdì 8 agosto 2014

Corso POLIdesign in HOTEL DESIGN SOLUTIONS

CORSO DI ALTA FORMAZIONE PER PROGETTARE NUOVI HOTEL




PARTECIPA AL NUOVO CORSO DI POLI.DESIGN E SPECIALIZZATI NELLA PROGETTAZIONE DI HOTEL

Lezioni frontali, esercitazioni, visite e un project work finale per diventare specialisti nella progettazione di strutture ricettive

POLI.design, Consorzio del Politecnico di Milano, lancia il nuovo corso in HOTEL DESIGN SOLUTIONS con i patrocini di Provincia di Milano, AIPi Associazione Italiana Progettisti d'Interni e MAGA, Associazione Giovani Architetti Milano

Un corso unico, in cui realizzare un concept innovativo di Hotel:

- Due settimane,
aperte anche agli albergatori e agli operatori/imprenditori del settore, di lezioni frontali in cui saranno illustrate le dinamiche, i trend, le soluzioni pratiche e i business plan che possono determinare il successo di una struttura ricettiva, sia nel caso di rinnovamento, che di nuova costruzione.

- Tre settimane di project work
in cui i progettisti, divisi in gruppi di lavoro, metteranno in pratica le loro esperienze specifiche, in un progetto sviluppato su una location esistente, confrontandosi tra loro attraverso un metodo progettuale innovativo;

- In aula con i migliori progettisti ed esperti del settore, come Marina Baracs, Nisi Magnoni, Simone Micheli, Marco Piva, Luca Scacchetti, Maurizio Favetta e docenti del Politecnico di Milano quali Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Francesco Scullica, Giuliano Simonelli,  Francesco Murano ed altri;

- 15 crediti formativi professionali validi per il triennio 2014/2016
(prot. CNAPPC n. 0001045 del 23/04/2014).

- Visite serali in hotel, spazi innovativi, palestre e locali di Milano, per approfondire direttamente le caratteristiche, le funzioni, le soluzioni progettuali e le trasformazioni in atto.


Il Corso esplora le ultime tendenze in campo internazionale in materia di progettazione dei servizi, delle aree comuni e delle varie tipologie di camere, fornendo ai partecipanti un'ottima opportunità di aggiornamento e nuovi spunti da rielaborare nell'ambito delle proprie esperienze professionali.

Il Corso ha inoltre l’obiettivo di mettere a confronto in aula tutti gli attori del mondo dell’ospitalità: gli albergatori, i manager, i progettisti e le aziende del settore e si avvale della collaborazione con la Fiera Sia Guest di Rimini, durante la quale verrà organizzato un evento/tavola rotonda.

Molte le aziende che hanno già confermato la propria partnership: Dornbracht, Florim Ceramiche, Preamfono, Alape, Durante, Extravega, M.EN 7AIR Minus Energie.

E’ prevista una frequenza di 25 giorni per otto ore giornaliere, dal 22 settembre al 24 ottobre 2014. In base alla disponibilità di tempo, agli interessi professionali e alle conoscenze dei programmi di progettazione, i candidati potranno valutare se partecipare alle sole lezioni teoriche o all’intero percorso didattico.

Info, costi e iscrizioni su www.polidesign.net/Hotel-Solutions
Sono previste agevolazioni per iscrizione multiple.

sabato 26 luglio 2014

Quando si dice che le dimensioni non contano...

Negli ultimi mesi noi di PLANETHOTEL.NET abbiamo assistito ad un aumento delle richieste per l'acquisto e la gestione di hotel. Sembra un segno incoraggiante, se non fosse che la nostra ricerca sul mercato ha confermato quanto diciamo da tempo, e cioè l'inadeguatezza complessiva del patrimonio alberghiero italiano.
Qui diamo conto di alcune considerazioni generali al proposito.

Stiamo cercando hotel per clienti che vogliono comprarli o prenderli in gestione (affitto d'azienda o locazione immobiliare).

Cosa vogliono i nostri clienti?

1. Alcuni cercano hotel di pregio, il più classico 5 stelle, a Roma, Milano, Venezia. Già Firenze non convince del tutto. Alcune location di mare, come la Puglia e la Sicilia sono richieste.
Come è noto negli ultimi anni vi sono state parecchie compravendite di hotel di questa categoria, tanto che gli oggetti effettivamente disponibili oggi sono sempre meno.
Stranieri molto liquidi immobilizzano volentieri in hotel che costano 1 milione a camera, sapendo che nel lungo periodo verranno ripagati. Non cercano la redditività di breve/medio. Cercano il  "trophy", tenendo conto che a Londra o Parigi hotel di quel livello costano già oggi 2 milioni a camera.
Gli hotel di Via Veneto o sul Canal Grande sono pochi e comunque possono aumentare la redditività se ben gestiti da compagnie internazionali in grado di promuoverli verso una clientela esclusiva, soprattuttto se la gestione viene affidata in management.
A tal proposito si veda cosa è successo a Taormina, dove l'acquisizione del Timeo da parte di una grande compagnia internazionale ha fatto lievitare i prezzi di vendita di tutta la destinazione.

2. Altri investitori immobiliari esteri cercano hotel business di almeno 100 camere, che abbiano una ragionevole redditività, in destinazioni che non rischino di perdere valore. Si tenga presente che oggi in giro per il mondo (USA, Cina, ma anche Europa) l'approvvigionamento di denaro sui mercati internazionali per clienti importanti avviene a tassi davvero competitivi, per cui una redditività del 6% sul capitale investito è già un buon risultato.
Alcuni investitori arrivano a cercare operazioni con redditività del 7% al netto dell' IMU che rappresenta un ulteriore punto percentuale. Questo è possibile soprattutto per alcuni centri commerciali, che vengono trattati a prezzi molto inferiori del loro valore di libro, ma non per gli hotel, a meno che non si tratti con le banche, che hanno piacere di liberarsi di oggetti incagliati.

3. Esiste poi un terzo tipo di operatore più prettamente "industriale", che è già presente - anche con hotel propri - in altri paesi europei, ma che è poco o nulla presente in Italia, e che entra chiedendo hotel in locazione o in affitto d'azienda.
In questo caso abbiamo a che fare con un operatore altamente professionale che ha comprato o costruito hotel negli ultimi 20 anni a casa propria e che conosce quindi le regole del successo di un'attività alberghiera.
Questo operatore è il più interessante, perché non cerca l'investimento immobiliare a rendita, ma cerca hotel che producano fatturato e utile.
Per questo cerca hotel "nelle principali città italiane, turistiche e business", hotel con dimensioni di almeno 100 camere (anche 80 in casi eccezionali), hotel ben localizzati, completi dei servizi che il cliente internazionale richiede. Insomma cerca un hotel "da manuale", come quello descritto nel nostro Hotel Design.
Nel caso di resort al mare, lo stesso operatore può essere interessato a resort più grandi, anche con 150-200 camere, con affaccio sul mare, a pochi chilometri dall'aeroporto, e con tutti i servizi che un resort deve avere. E soprattutto chiede che la zona intorno al resort non sia cementificata con mille casette e casupole di abusivi degli anni '80-'90.

Nel corso della nostra ricerca non riusciamo a trovare quello che gli investitori richiedono.

Vorrei sottolineare che i nostri clienti  non fanno queste richieste per semplice puntiglio, ma perché sanno che quel "prodotto alberghiero" è quello richiesto dal mercato dei viaggiatori, è il prodotto che massimizza il Gross Operating Profit, e che permette quindi una gestione manageriale dell'hotel.
Quello è il prodotto alberghiero "noto" al cliente finale, che si aspetta di trovarlo in tutte le località gestite dalla medesima compagnia (catena alberghiera).

Ed invece?
Invece ecco che cosa troviamo sul mercato.

- Alberghini, tanti tantissimi alberghini da 15-20 stanze nelle località più disparate. Me li posso immaginare, stanze da 13-16 mq, molte singole, con bagnetti minuscoli. Insomma cose di altri tempi. Credo che per questo tipo di prodotto oramai fuori mercato si dovrà pensare come reimmetterlo sul mercato, soprattutto se localizzato in zone turisticamente valide.

- Villaggi turistici fatti male, costruiti con l'ottica della più radicale speculazione immobiliare da costruttori che hanno sfruttato leggi e contributi pubblici (soprattutto al sud, soprattutto in Calabria, ma anche in Sicilia). Sono oggetti che a mio parere non valgono nulla, ed anzi abbruttiscono così tanto il paesaggio che rappresentano un disvalore. Fa piangere il cuore vedere come quegli interventi abbiano completamente squalificato angoli di territorio straordinari, unici al mondo, ed ora impresentabili perché il geometra o l'ingegnere non hanno messo testa nel progetto (* qui si aprirebbe una lunga digressione su come sono stati e tuttora sono progettati gli hotel italiani).

- Alberghi di città in zona semicentrale, da 50-60 camere, anche questi nati negli anni '70-'80, con un'ottica immobiliare/speculativa, con camere inadeguate. Le dimensioni sono piccole per una moderna gestione, e la redditività non è sufficiente per un rinnovo che li adegui alle esigenze odierne. I valori immobiliari sono così elevati da impedire una ristrutturazione radicale, anche perché i volumi in gioco non sono sufficienti a rifare un hotel moderno.

- Hotel degli ultimi 15 anni, localizzati in zone semiperiferiche. Operazioni pensate quando c'è stato il massimo di richiesta di ospitalità, ma purtroppo in zone sbagliate, o in certe periferie delle grandi città. Mi vengono in mente hotel business in zone industriali di quasi ogni città italiana. Quando questi hotel erano stati pensati, gli hotel del centro città lavoravano con una buona occupazione, a prezzi sostenuti, e quindi pareva ragionevole costruire un hotel nuovo in zona semiperiferica, dove il valore della terra fosse molto limitato, e con costi di costruzione di tipo industriale (prefabbricato). Oggi quegli hotel risultano spesso inutilizzati o venduti a prezzi per notte irrisori, perché la crisi ha ridotto l'esigenza di camere ed il loro prezzo di vendita è diminuito di conseguenza.

Concludendo

Sono convinto che se l'Italia vuole avere un rilancio e crescita del turismo deve pensare principalmente all'accoglienza alberghiera, perchè senza alloggio non c'è turismo. Se poi teniamo conto che anche in Italia le forme di concorrenza all'hotel si sono moltiplicate, come gli agriturismi e i B&B (come www.airbnb.com), io credo che l'investimento del futuro dovrebbe concentrarsi su due prodotti molto definiti:

a) il prodotto esclusivo, sia in città che in località di vacanza, nelle zone dove quel tipo di turista può venire attratto. Con un'avvertenza: fare il "lusso" non è cosa facile. E attrarre il cliente lusso richiede una visione ed una costanza di servizio che in pochi in Italia hanno.
In questo caso le dimensioni contano, non solo perché si deve raggiungere un break even della struttura, ma soprattutto perché la prima misura del lusso è lo spazio. Non si può chiedere un prezzo "lusso" per una camera piccola, o per una "suite" che non corrisponde agli standard del lusso internazionale.

b) il prodotto low cost. Anche in questo caso le dimensioni contano, l'hotel ed il resort devono essere sufficientemente grandi per poter garantire redditività lungo tutto il corso dell'anno, anche con prezzi di vendita competitivi.
Ma low cost vuol dire che il prezzo di costruzione e di gestione dell'hotel deve essere basso. Perciò l'hotel va pensato e riprogettato con quell'obiettivo.

In entrambi i casi serve un grande sforzo finanziario per riadeguare pezzi importanti di città turistica al nuovo prodotto accessibile al nuovo cliente.
Servono regole nuove, anche per la riquilificazione urbanistica. E servono politiche fiscali che favoriscano questa trasformazione.

Se non lo facciamo noi adesso lo faranno i nostri figli tra 20 anni ricostruendo sulle macerie di quello che noi gli lasceremo.

E non si pensi di classificarmi tra gli apocalittici.
Di queste cose scrivo da oltre 10 anni, in maniera costante, perfino monotona, e da quasi venti ne parlo sul mio sito e in convegni pubblici, prevedendo megatrend che si sono puntualmente avverati.
Ne scrivevo e lo dicevo quando le cose andavano in modo diverso, quando i "modelli" dei Ligresti, Fusi, Ramondetti, Boscolo (solo per citare i maggiori) sembravano vincenti.

Forse metterci la testa prima di spendere i soldi val la pena, anche per gli investitori e per le banche.

Credo che questo sia oggi uno dei compiti prioritari del governo, se vuole davvero #cambiareverso.